Quando il troppo stroppia: intervista a Umberto Martini
La crisi di settore ha messo il turismo di massa di fronte ai suoi limiti: è arrivato il tempo di ripensarne il futuro?
Intervista a Umberto Martini, professore Ordinario di Economia e Management dell'Università di Trento
Mai, prima di quest’anno, il mondo legato al turismo di massa aveva dovuto fare i conti con le sue grandi contraddizioni. A rimetterci sono stati soprattutto i territori che, da anni, sfruttano i grandi flussi per costruire la propria fortuna economica. Nel frattempo, questi mesi di stop forzato hanno fatto esplodere il dibattito. Abbiamo raggiunto telefonicamente il professor Umberto Martini, ordinario presso l’Università di Trento, per parlare con lui dei due grandi fenomeni che sembrano doversi contendere le sorti del turismo futuro: l’over e l’undertourism.
Direi di iniziare dalle basi: cosa si intende per overtourism?
Siamo abituati a giudicare l’andamento di una stagione contando gli arrivi e le presenze, seguendo la logica del più siamo, meglio è. Poi però, per una serie di fattori, a volte succede che troppe persone si concentrino in uno spazio e in un tempo così ristretti da determinare un problema di eccesso. Il concetto di overtourism è stato introdotto proprio per definire i disagi determinati dalle troppe presenze. Il che spiega anche perché l’accezione di overtourism è negativa, e non positiva. L’over sta proprio a significare il superamento di un limite, di una soglia.
Apparentemente sembra un problema recente. Quand’è che se ne inizia a parlare?
Ci sono alcuni fenomeni che si sono verificati storicamente. Il Carnevale di Venezia è un classico esempio di overtourism, anche se lì è una situazione talmente speciale che la folla fa un po’ parte del gioco, come lo stadio pieno. Il problema lo si comincia ad avvertire quando, in alcune località, questo fenomeno diventa sostanzialmente una costante tale da pregiudicare la qualità stessa della vacanza; e questo dipende molto da alcuni fattori. Provo a metterne in fila qualcuno.
Il primo è sicuramente l’aumento della mobilità. Barcellona: perché è diventata un territorio aggravato da overtourism? E lo stesso vale per l’Irlanda, per Dublino… beh, se vogliamo chiamarlo “effetto Ryanair”, possiamo chiamarlo così! Poi pensiamo all’avvento dell’ecommerce, a certi meccanismi che sono legati ai siti di prenotazione, dove un’offerta speciale o una promozione aggressiva possono orientare enormi flussi in maniera decisiva, anche in tempi molto brevi. Infine c’è la diffusione di Airbnb, attraverso il quale la ricettività è aumentata esponenzialmente: dove prima i posti letto erano cento, nel volgere di pochi anni sono diventati mille.
E i social?
C’entrano anche loro, perché qui entra in gioco un altro fenomeno, che è quello della condivisione sui social media dei luoghi dove sei stato, guidato magari da influencer, blogger o youtuber che, ad un certo punto, ti hanno raccontato di quel magnifico borgo nell’entroterra marchigiano, dandoti uno stimolo che poi hai seguito. Ma, come te, l’hanno fatto altre migliaia di persone e quel borgo sperduto, che fino al giorno prima non conosceva nessuno, d’improvviso si è riempito di visitatori fino a scoppiare. Tornando alla domanda di prima, sì, l’overtourism è un fenomeno recente perché è da pochi anni che abbiamo questo insieme di fattori.
A quello di overtourism si contrappone sempre il concetto di undertourism. Di cosa si tratta?
Mettiamola così: dopo vent’anni che un luogo è stato visitato da tutti, un po’ si è consumato. Non solo perché è stato infrastrutturato e ha sofferto di un eccesso di pressione, ma anche perché oramai, ci siamo stati tutti, quindi ha perso di interesse e attrattività. Il consumo dei luoghi è anche questo, un consumo in termini simbolici. Allora c’è una ricerca sempre più accentuata verso quei luoghi che sono interessanti proprio perché sono sconosciuti.
Ecco, il fenomeno dell’undertourism riflette esattamente questo tipo di ricerca: la ricerca delle cose trascurate, non note, e quindi fisiologicamente viste da pochi. È, in sostanza, la rivincita dei numeri piccoli rispetto al vecchio concetto di successo uguale numeri grandi.
E qui ancora una vota andiamo a leggere il ruolo degli influencer, perché il loro mestiere sta anche in questo. Ti vado a far vedere quel posto al mare, in montagna, al lago o in città dove non è stato mai nessuno, e dove tu puoi andare a scoprire la novità, l’esperienza. Non è un caso che al concetto di undertourism molto spesso venga associato quello di turismo esperienziale.
Però, poco fa, mi hai detto che gli influencer spesso danno origine a dei flussi che sovrastano i piccoli luoghi ai quali fanno pubblicità. Come la mettiamo?
Il punto è che un piccolo territorio, da sempre escluso dai grandi flussi, quando comincia ad incontrare l’interesse dei visitatori… beh, può ravvisare un’ipotesi di sviluppo molto interessante, alla quale non è detto che dica di no. Se ci pensiamo bene, quando la guida turistica più famosa del mondo, la Lonely Planet, cominciava a proporre le guide turistiche che ti permettevano di scoprire gli angoli sconosciuti delle città, è successa la stessa cosa. Solo che oggi siamo passati dal cartaceo al digitale, quindi è tutto più veloce, perché tempo che scrivi una guida, la pubblichi, la metti in vendita… oggi basta che dieci influencer molto seguiti postino qualche foto, e nel giro di pochi minuti quel luogo ha già avuto migliaia se non milioni di condivisioni.
Ipotizziamo che un territorio non voglia aprirsi al turismo di massa, come dovrebbe fare?
Serve la convinzione, da parte di questi territori, nel voler rimanere zona del cosiddetto turismo minore, dove però minore ha un’accezione positiva, non negativa. Allora qui ci sono delle strategie, note e studiate, dove il territorio locale e chi si fa carico della sua gestione deliberatamente dicono: noi non vogliamo diventare zona del turismo di massa, quindi introduciamo dei vincoli, dei limiti, per mantenere bassi i numeri. Però devono essere anche molto bravi e molto attenti a costruire un prodotto turistico adatto alle caratteristiche di quei piccoli numeri, sapere che si troveranno ad avere a che fare con turisti molto esigenti, e che l’equilibrio potrebbe essere difficile da mantenere.
Altrimenti corri un po’ il rischio, che accada quello che è successo sull’Everest. Perché l’Everest, attenzione, è un caso di overtourism. Sembra incredibile ma oramai, nel momento in cui il tuo fisico te lo permette, nel senso che ti permette di camminare, stare al freddo, sopportare la quota, andare sull’Everest è diventato un pacchetto turistico. Dove ti tirano su, certo, perché hai la squadra di sherpa che vanno prima e ti preparano le funi tirate, le scalette metalliche, le passerelle sui crepacci e i campi attrezzati alle varie quote dove trovi già il cibo pronto.
Quindi oggi la questione è questa: se noi allarghiamo le maglie dell’offerta, proprio per le caratteristiche di cui parlavamo prima, è un momento trovare migliaia di persone che vogliono fare la cosa più strana. Tu pensaci, andare in cima all’Everest, ti verrebbe da dire: ma chi vuoi che ci voglia andare? Invece guarda: c’è la coda!
Dovendo limitare i numeri, però, verrebbe spontaneo pensare che si debbano alzare i prezzi…
Non necessariamente, anzi. Non dobbiamo confondere l’undertourism con il turismo di lusso, perché ci sono delle forme anche molto economiche, che possono essere interessanti ad esempio per i giovani, o per le categorie non particolarmente disposte a spendere. Lasciamo stare se il reddito ce l’hai o non ce l’hai, può essere che ci siano persone che non abbiano destinato alla vacanza un budget così alto. Pensiamo a chi vuole girare con lo zaino, la bicicletta, a cavallo o a piedi. Pensa al successo che hanno avuto i cammini negli ultimi dieci anni, raccogliendo l'interesse crescente di persone molto definite da un punto di vista delle aspettative, e che anche se magari sono persone con un potere di spendita molto elevato, dormono volentieri in una locanda e mangiano in una trattoria locale perché fa parte del discorso. Non è che cercano lo stellato lungo il cammino, va benissimo la trattoria, purché però sia locale e autenticamente capace di farti assaggiare i prodotti del territorio. La differenza tra il turismo di massa e il turismo di nicchia alla fine è tutta qui.
Le località ad elevato tasso di frequentazione turistica spesso hanno a che fare con persone molto distratte, poco coinvolte, molto superficiali anche nella fruizione del territorio. Nulla di più lontano dalle logiche di chi cerca destinazioni undertourism.
A questo punto però l’undertourism non potrà mai essere il futuro delle destinazioni di massa. Se abbassa i numeri ma non alza i prezzi, rimane una possibilità valida solo per i luoghi secondari e poco conosciuti.
Qui c’è sicuramente un discorso generale che, pensando alle teorie organizzative, mi ricorda tanto la path dependence, cioè la dipendenza dalla propria storia. È chiaro che se tu mi prendi una località come la Val di Fassa, che ha una lunghissima e bellissima storia turistica estiva e invernale, e mi vai a chiedere in un territorio così sviluppato dove innestare l’undertourism, diventa un po’ difficile. Questo non significa però che, là dove hai una storia di grande sviluppo, non ci siano delle situazioni magari interstiziali che possano puntare su un’alternativa differente.
Se parliamo di montagna, puoi trovare delle valli laterali, contigue a quelle dove ci sono gli impianti, che però per la loro storia, la loro posizione o per una serie di altri elementi, non sono ancora entrate nel carosello del turismo di massa. A questo punto hai due meccanismi per sviluppare queste aree. La prima è quella del copia e incolla; ho una zona che fino ad oggi è rimasta fuori dal giro? Bene, la metto nel giro: costruisco l’impianto, i parcheggi e via discorrendo. Un’altra cosa che puoi fare invece è dire: io sono altro rispetto al modello di base? Evviva, voglio essere altro, guai a voi se mi tirate dentro, perché voglio rimanere terra da ciaspole, sci d’alpinismo e via discorrendo.
È una scelta, che è possibile solo se trovo creazione di valore nell’essere altro rispetto a quello che mi sta intorno.
Quali potrebbero essere i vantaggi di questa convivenza?
In realtà è un vantaggio per tutti, perché avere delle zone a bassa densità turistica vicine a delle zone ad alta densità ti permette di gestirne i flussi, deviandone l’arrivo un po’ qui e un po’ lì. Se si è bravi, questa può essere una strada per scaricare gli hotspot.
Spostandoci sul concetto di esperienza, quanto è centrale per le destinazioni undertourism? Quanto invece lo potrà essere per il turismo di massa?
Difficile dirlo, dipende dalla domanda del turista. Noi possiamo immaginare che ci sia una categoria, quello che nel marketing chiamiamo segmento, di turisti molto esigenti. Quanto è grande questo segmento? Sicuramente è in crescita, però la percentuale delle persone che vanno al mare, in montagna o nella città d’arte per fare la classica vacanza è ancora altissima. Possiamo introdurre anche per questi degli elementi di esperienzialità? Sì, ma è più difficile, perché se vuoi parlare veramente di esperienzialità serve un coinvolgimento emotivo, un certo grado di partecipazione.
Il turismo esperienziale è qualcosa che dà reciproca soddisfazione, tanto al turista quanto all’operatore turistico, perché entrambi cercano la stessa cosa. Se, per esempio, tu suoni in una band che fa un genere di musica di nicchia, a te deve dare molta soddisfazione suonare davanti ai tuoi fan, perché sai che ti capiscono fino in fondo, e sono lì perché sanno che quello che fai è particolare. Quando cerchi di portare questa dinamica alla massa, allora devi introdurre elementi necessariamente più grossolani.
Pensa al turismo del vino, un fenomeno in forte crescita e molto importante per l’Italia. Beh, fatte cento le persone che vanno a visitare una cantina, quanti sono quelli che capiscono veramente la qualità del vino e quanti, invece, sono quelli che se li stappi un vino da un euro a ettolitro ne rimangono estasiati solo perché gliel’hai fatto assaggiare in cantina?
All’inizio dell’intervista abbiamo parlato di mobilità low cost, app di sharing e offerte lampo: tutte cose che, ad oggi, non sembrano più essere sostenibili. Quale sarà il futuro del turismo?
Quello che stiamo vivendo è un periodo difficile, un po’ come una guerra. Eppure non sono convinto che, non appena inizieremo a sconfiggere la pandemia, tornerà tutto come prima. Anzi. Non dimentichiamoci che il turismo di massa risale agli anni ’60, contestualmente al boom economico di quegli anni, e che quel boom fu per buona parte dovuto alla ricostruzione post bellica. Questo periodo ci sta aiutando a sgomberare la piazza da tanti pregiudizi, tanti preconcetti, e sono fortemente convinto che parole come sostenibilità, green economy e inclusione in futuro potranno finalmente diventare i nuovi pilastri sui quali ricostruire, in maniera molto consapevole, il nostro domani.