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Un noto spot pubblicitario in voga negli anni ’90 recitava testualmente: chi beve birra campa cent’anni, e a riprova di questa affermazione per decenni ha campeggiato, iconico e maestoso, il baffuto profilo di un anziano signore, di verde vestito, che coi suoi mustacchi perennemente bagnati da una bianca schiuma ci rassicurava sorridente sulla qualità della birra.
Ora, pur ricordando le ultime acquisizioni scientifiche in tema di recupero di sali minerali dopo un’intensa attività fisica grazie a una buona bevuta di birra (piccola e poco alcolica, possibilmente), vogliamo qui principalmente parlare della recente e performante presenza sul mercato italiano delle birre artigianali italiane, presenza che ha di certo contribuito ad arricchire (e, forse, migliorare) il nostro modi di bere birra.

Non pastorizzate e non filtrate erano prodotte nel 1996 (anno che viene storicamente accettato da tutti come l’anno in cui tutto ebbe inizio) da sei birrifici, diventati 250 dieci anni dopo e più di mille a distanza di venti. Se quindi, fino a qualche anno fa, il fenomeno era guardato con un misto di simpatia e curiosità, ora è innegabile che per numero e volume produttivo i birrifici artigianali rappresentino un business conclamato per molti.

Lo è per le grosse multinazionali, che a livello planetario tendono ad acquisire i microbirrifici più virtuosi per poi piegarli alle proprie esigenze produttive, e che fanno ormai il verso alle artigianali, proponendo inedite birre di territorio, reclamizzate con cinque, sei, sette e poi otto luppoli (l’uso di più luppoli in una singola produzione è pratica comune e abituale) come fossero superbirre, pubblicizzate con spot televisivi e radiofonici che vagheggiano improbabili produzioni regionali.

Ma lo è anche per le GDO, che nel 2020 (dati AssoBirra) hanno veicolato il 64% dei volumi, per un giro d’affari da oltre 1 miliardo di euro.
Nello specifico le birre artigianali, che rappresentano 1/3 della filiera produttiva italiana, hanno fatto la loro comparsa sugli scaffali di super e ipermercati con le loro colorate, originali etichette ma, soprattutto, con la loro alta qualità.
A beneficio del consumatore, che oggi può accedere ad un prodotto artigianale tracciabile e ricco di sfumature.
Sì, perché mentre non sappiamo chi ci sia dietro una birra industriale (che, tuttavia, non viene considerata la reale competitor delle artigianali, a differenza del vino)

Di una birra fatta in casa possiamo sapere tutto, dagli ingredienti a chi la produce. Quella che io definisco la variante umana della birra.

Produzione e territorio

Un microbirrificio è a tutti gli effetti un presidio del territorio, perché in una birra artigianale si usano anche eccellenze locali e questo, in un certo senso, surroga il concetto di terroir – proprio del vino – che invece nella birra non avrebbe cittadinanza.
Così nelle nostre birre possiamo trovare, fra gli ingredienti, la pesca di Volpedo, l’albicocca Pellechiella vesuviana o il radicchio di Treviso, ma anche il bergamotto calabro o le castagne dei boschi matildici, e così via per decine e decine di prodotti tipici italiani. Ci sono Saison arricchite con la rosa, la viola e il sambuco o con grani antichi siciliani, Blanche ingentilite col coriandolo e le scorze di arancia amara, Ale con miele di castagno e anice stellato e molte, moltissime altre.
Per me, birre ad alto tasso di creatività.

E poi ci sono loro, i birrai. Meglio, i Mastri birrai.
Nelle mie scorribande per conto di Slow Food e durante le molte fiere organizzate in circa quindici anni di attività, ho trovato un mondo variegato ma, soprattutto, qualificato.
Basterà visitare qualche birrificio per rendersene conto.

E a tal proposito, un altro grande filone che si sta aprendo è proprio quello del turismo birrario.
Questo interessante e per certi versi ancora poco esplorato canale è diventato, in questo ultimo biennio, materia di studio e di confronto, sempre più presente nei webinar di settore e argomento di discussione fra operatori turistici.

Basti pensare che già nel 2014 il noto operatore Smartbox, leader in Italia e in Europa fra i cofanetti regalo, ha commissionato al brand Birra Nostra, nato nel 2007 per promuovere i birrifici artigianali italiani, la creazione di un network nazionale di microbirrifici visitabili, all’interno dei quali tenere degustazioni guidate; ad oggi sono almeno sei i cofanetti che propongono il prodotto microbirrificio.

Oggi, tuttavia, potremmo definire questo prodotto prodromico rispetto alla progettualità che molti soggetti – operatori turistici, editoria di settore, Enti pubblici e financo atenei universitari – stanno mettendo in campo.

Centrale, per riprendere un concetto espresso in precedenza, è il microbirrificio, intenso come presidio di un territorio, di un distretto produttivo e turistico. Punto di arrivo di una filiera che parte dai produttori di materie prime – le aziende agricole, ma non solo – passando per tutto quanto quel territorio può offrire sia a livello culturale, naturalistico, ambientale, quanto a livello di ospitalità (B&B, Agriturismi, ristorazione).

Ecco quindi profilarsi un ambito turistico inedito e innovativo, modellato per un turista esperienziale, attento e rispettoso, curioso e disponibile; considerato, inoltre, l’alto numero di microbirrifici operanti ed equamente spalmati su tutto il territorio nazionale, possiamo affermare con certezza che il turismo brassicolo è destinato ad un grande successo di pubblico.
Una nuova interessante possibilità per il turismo di prossimità.

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