Dopo la stagione invernale più difficile e complicata di tutta la storia dello sci alpino, Bruno Felicetti ci restituisce un resoconto fedele dei gravi contraccolpi economici che si abbattono (e si abbatteranno ancora nei prossimi anni) sulle economie turistiche alpine. A dispetto di quanto si potrebbe credere però, il Direttore Generale delle Funivie Madonna di Campiglio non ha avuto tempo da perdere: è infatti già pronto il panorama futuro per lo sci del domani. Ed è ricco di sorprese.

Intervista a Bruno Felicetti,

Direttore Generale delle Funivie Madonna di Campiglio

 

Era mai successo di saltare un’intera stagione, nella storia dello sci alpino?

Gli unici esempi storici paragonabili alla situazione di quest’anno sono gli inverni senza nevicate naturali. Parliamo degli anni 88, 89, 90, quando a Campiglio si ricorda di aver iniziato la stagione molto tardi, a inizio febbraio. Gli impianti di innevamento erano però agli inizi, mancavano le tecnologie che abbiamo oggi. E poi lì c’erano delle esperienze, si sapeva che prima o poi il freddo o la nevicata sarebbero arrivati.Questo virus invece ha rotto ogni paradigma, togliendo qualsiasi margine di certezza. Operare delle scelte è diventato molto difficile.

 

La speranza di aprire è sopravvissuta fino all’ultimo, oppure ad un certo punto vi siete voluti mettere il cuore in pace?

La voglia di partire c’è sempre stata, anche se dopo Capodanno non era più per salvare dal punto di vista economico la stagione, ma per mettere a frutto quella serie di iniziative studiate per ridurre il rischio di contagio sulle piste.Pensi che ad aprile 2020, in piena emergenza pandemica, avevamo addirittura avuto il coraggio di costruire un nuovo impianto da 15 milioni di euro. Andava a sostituire una seggiovia da quattro posti con una telecabina da dieci, risolvendo una serie di problemi legati a colli di bottiglia e ingorghi nella risalita degli sciatori. Nell’ottica della ripresa era una mossa strategica, perché sapevamo che ci saremmo trovati di fronte a una stagione a ranghi ridotti, con il distanziamento sociale come prima regola.Un’altra soluzione alla quale avevamo pensato era legata all’acquisto di un app dove lo sciatore poteva mettersi in coda virtualmente, accedendo all’impianto di risalita solo pochi minuti prima del suo turno.È chiaro che il rammarico più grande è quello di non aver potuto provare né l’impianto né tutte le altre iniziative messe sul tavolo.

 

l dpcm del 14 febbraio, dove si è negata la riapertura prevista per il giorno dopo, dev’essere stata una brutta delusione.

Diciamo che chi si è trovato a valutare la situazione non ha tenuto conto della grande mole di lavoro necessario a preparare un impianto. Non conosceva il nostro settore e ha ritardato in maniera vergognosa delle decisioni che andavano prese con largo anticipo. Mi spiego meglio: girano voci che già ad ottobre all’interno del cts ci fosse la consapevolezza che la stagione invernale non sarebbe mai potuta partire. Se fosse vero questa cosa andava comunicata subito, e non resa inevitabile a poco a poco da un continuo posticipo di date.

 

Quali ripercussioni ha provocato una gestione di questo tipo?

Noi come Skiarea abbiamo 500 dipendenti, di cui 150 fissi e la restante parte, quindi 350, stagionali. Questi 350 si sono trovati a casa senza stipendio e senza nessuna garanzia.
Certo, era difficile che questi trovassero una collocazione in altri contesti, perché con gli impianti fermi è restato fermo anche tutto il sistema economico locale. Questo continuo ritardare le date ha però creato situazioni paradossali. Addirittura alcuni di loro sono stati assunti e il giorno dopo licenziati.
Il punto è che l’impianto non si accende un giorno per l’altro, ma ha bisogno di una lunga preparazione per essere messo nelle condizioni di partire. La scorsa primavera i nostri operai sono entrati al lavoro il 2 di maggio e ci sono stati investimenti importanti già nei mesi di novembre e di dicembre, quando abbiamo preparato le piste. Certo poi ha nevicato tanto, ma la base di neve programmata era già stata prodotta. Se consideri poi la battitura delle piste, il montaggio delle reti e dei sistemi di sicurezza, i sistemi software per la vendita online, puoi farti un’idea dei costi che abbiamo sostenuto inutilmente, quando molti sapevano già che non ci avrebbero fatto aprire.

 

Hai accennato al sistema economico locale. Qual è stato l’impatto di un inverno senza turisti né impianti?

Considera che ogni euro incassato dagli impianti ne genere 7 sul territorio. Vuol dire alberghi, ristorazione, maestri di sci, noleggio, commercio… tutto questo lavora soprattutto grazie allo sci alpino.
Tanto per dare alcune cifre, la nostra Skiarea ha un fatturato di circa 70 milioni di euro. Ne consegue che genera un indotto di oltre mezzo miliardo di euro.
Va poi considerato che qualsiasi impresa turistica, fuori stagione, fa degli investimenti importanti per migliorare la propria offerta.
Se questo virus ha messo in crisi il sistema iniziale, dobbiamo aggiungere alle perdite anche gli investimenti dei prossimi due o tre anni. Nel senso che l’albergo che aveva in mente di ristrutturare, questa idea l’ha spostata in là di almeno un paio d’anni.
Sospendere questi interventi vuol dire togliere lavoro alle imprese. Parliamo di oltre un miliardo di indotto.
È per questo che in un certo senso abbiamo fretta di ripartire. Se la giostra rallenta, ma poi la riavviamo, allora può restare in piedi. Ma se la giostra si ferma tutto diventa molto più complicato.

 

 

Guardiamo al resto d’Europa: su qualche pista si è sciato…

La Francia è rimasta chiusa, però ha già avuto garanzie sui ristori. Ricalcando le loro modalità anche l’Anef (associazione di categoria, ndr) sta cercando di recuperare degli aiuti per coprire una parte delle spese fisse.
In Austria hanno aperto, ma con tutta la ristorazione e gli alberghi chiusi. Si poteva quindi andare a sciare, ma senza rifugi né alberghi è stato un fenomeno più che altro locale.
La Svizzera invece è l’unica ad aver tenuto tutto aperto e oggi, nonostante gli impianti siano rimasti in funzione, si trova quasi fuori dall’emergenza.
L’equazione impianto uguale diffusione del virus non è quindi per nulla scontata.
Lo è molto di più per gli apres ski o le discoteche d’estate, ma può succedere sugli impianti come succede con la movida sui Navigli o sul lungo mare di Napoli, lì dove mancano i controlli.

 

La Svizzera dimostra quindi che, in qualche modo, si poteva aprire. Quali soluzioni ha adottato?

Nulla di diverso da quello che avevamo pensato anche noi.

 

Cioè?

Abbiamo riassunto la modalità per aprire in sicurezza con uno slogan: io amo sciare, dove ogni lettera della parola amo rappresenta un’azione. La a sta per acquisto online lo skipass, m mi metto in coda virtuale, o osservo le norme sul distanziamento.

 

Un modo piuttosto diverso di approcciarsi agli impianti.

Ti dirò di più: non c’è dubbio che quello che abbiamo studiato a tavolino per ridurre il contagio sia, in realtà, la nuova modalità con cui si andrà a sciare nel futuro.
Abbiamo delle ricerche che ci dicono che il cliente più soddisfatto è quello che viene a gennaio o a inizio febbraio, mentre il cliente di Capodanno è meno soddisfatto. Il numero chiuso, che ci è stato imposto quest’anno sulla carta dai protocolli per contrastare il virus, potrebbe quindi diventare un prezioso alleato per lo sci.
Definire un numero massimo oltre il quale l’impianto rischia di non garantire più un certo livello di qualità è quindi un tema che resterà importante. Perché emerge il problema dei parcheggi, dell’accesso agli impianti, dei rifugi… ecco, noi sappiamo benissimo qual è quel numero limite, ma dobbiamo impegnarci a non sforarlo.
Questa è la grande sfida di oggi, riprogettare lo sci guardando più alla qualità e meno alla quantità.

 

Stiamo parlando di uno sci dei piccoli numeri? Niente più piste affollate, né territori presi d’assalto?

Non esattamente, perché dobbiamo restare consapevoli che la macchina organizzativa ha bisogno comunque di numeri.
Alcuni clienti abituali ci hanno detto: sapete come fate quest’inverno per far tornare i conti? Raddoppiate i prezzi dello skipass. Perché io sarei disposto a spendere 100 euro pur di essere la metà sulle piste.
In realtà, se devo passare da 20 mila sciatori che pagano 50 euro a 10 mila che pagano 100 euro, non lo so fino a che punto riesco a tenere il mercato. Anche perché il resto degli impianti non è detto che mi segua.
Se però riusciamo a dimostrare che contenere i numeri migliori la qualità, nel giro di 2 o 3 anni possiamo effettivamente incrementare il prezzo e arrivare ad avere un 30% di sciatori in meno nelle settimane di punta.
È però un processo che non si può fare in un anno, ma che può essere attivato grazie alla consapevolezza che ci è stata data da questa emergenza.
Si tratta di trovare un nuovo punto di equilibrio.

 

Come pensate di riuscirci?

Una strategia sarà quella di cambiare la politica commerciale nella vendita degli skipass. Assieme al numero chiuso di accessi alle piste vogliamo stimolare il mercato ad acquistare in anticipo, portando il turista a prenotare il proprio posto. Ci approcceremo quindi a un modello di pricing di tipo dinamico, come succede ormai in molti altri settori.
Inoltre, chi acquisterà lo skipass contestualmente alla prenotazione alberghiera e in anticipo rispetto alla data di arrivo avrà degli sconti fino al 20-25%.Come pensate di riuscirci?
Una strategia sarà quella di cambiare la politica commerciale nella vendita degli skipass. Assieme al numero chiuso di accessi alle piste vogliamo stimolare il mercato ad acquistare in anticipo, portando il turista a prenotare il proprio posto. Ci approcceremo quindi a un modello di pricing di tipo dinamico, come succede ormai in molti altri settori.
Inoltre, chi acquisterà lo skipass contestualmente alla prenotazione alberghiera e in anticipo rispetto alla data di arrivo avrà degli sconti fino al 20-25%.

 

 

Prevedete un lavoro più corale tra impianto, strutture ricettive e territorio?

Questo tipo di collaborazione già esisteva nelle settimane di bassa affluenza, quando componevamo dei pacchetti per stimolare il mercato.
Oggi vogliamo estendere questa logica a tutto l’arco dell’anno, con dei vantaggi che cambiano in funzione del tempo e della quantità di skipass venduti in quel periodo. Quindi più tu ti avvicini alla data di partenza più il prezzo aumenta.
In più, e questa sarà l’altra grande innovazione, includeremo nel prezzo dello skipass un’assicurazione contro le spese di annullamento, dov’è compresa anche la pandemia fino al secondo grado di parentela.

 

Ripensando alle molte critiche piovute sul turismo dello sci alpino in questi mesi, possiamo dire sia questa la risposta a chi lo accusa di aver costruito un sistema senza alternative?

In questo momento, trovare a un’alternativa che in due anni riesca a sostituire quello che è un prodotto che ne ha impiegato 70 per arrivare a questi numeri, è tecnicamente impossibile.
Quello che sicuramente è possibile fare, ed è la sfida di tutte le località sciistiche, è passare dalla logica del menù fisso a quella del menù alla carta.
Penso che il covid ci abbia insegnato la necessità di integrare le altre forme di sport, dallo sci d’alpinismo alle ciaspole, dai trekking a tutte le numerose altre experience legate alla montagna.
Perché andare alla scoperta di percorsi meno battuti ci aiuterà a lavorare sulla qualità, aprendo al turista spazi diversi e opportunità nuove, per le quali il mercato sta dimostrando un’attenzione sempre maggiore.
Sarà poi il cliente a scegliere cosa vuole, e anche se sono convinto che lo sci rimarrà sempre il piatto forte, questa è la logica sulla quale dobbiamo lavorare.
Se le cose vengono ben integrate allora possono funzionare, e chissà che non si scopra un domani che lo sci è il 60 percento del fatturato di una destinazione, mentre il restante 40 è coperto dalle altre attività.
Attività che potrebbero essere incluse all’interno del prezzo già pagato per l’acquisto dello skipass.

 

Un’apertura che ricorda, sotto certi aspetti, il modello proposto da LaSportiva per la riqualificazione del Passo Rolle. È quella la direzione da intraprendere?

Partiamo da questo concetto: si parla di turismo dove ci sono posti letto.
Il modello LaSportiva potrebbe funzionare a Passo Rolle, dove i posti letto sono fermi a poche centinaia, ma non funzionerebbe a Canazei o a Madonna di Campiglio, dove i numeri sono esplosi grazie a un mercato che li ha fatti esplodere. Il turismo dello sci alpino rimane, lo ripeto, una macchina dei grandi numeri. Insomma, è difficile andare da un albergo e dire tu chiudi perché quest’anno, invece che diecimila persone, ne arriveranno solo duemila.
È però in corso un processo di contrizione dei numeri anche sul fronte dei posti letto, nonostante serviranno molti anni perché arrivi a compimento. Se andiamo a vedere gli ultimi alberghi che sono stati ristrutturati scopriamo che dove avevano 100 camere ne hanno fatte 60, più grandi e confortevoli, perché oggi le persone sanno che un’esperienza di qualità è anche quella che sa garantire il giusto spazio.
Un primo obiettivo è quindi quello di maturare il processo di evoluzione nell’offerta dei posti letto, passando anche qui dalla quantità alla qualità. Contemporaneamente, però, bisogna portare il mercato a riconoscere il giusto valore ai numeri più contenuti, e questo, come già succede negli alberghi, dovrà succedere anche per gli impianti.

 

Ricapitolando, ci aspetta uno sci dai numeri più contenuti, più allineato con il territorio e aperto all’integrazione delle altre attività legate alla montagna. Un grande cambiamento!

Sì, questi sono rispettivamente gli obiettivi di breve e medio termine; più lontano nel tempo ce n’è però anche un terzo: portare lo sci alpino ad azzerare il suo impatto sull’ambiente.
Abbiamo già fatto uno studio: per noi, portare l’attività a impatto zero, inciderebbe sul biglietto meno di 10 centesimi al giorno. È qualcosa che io già da domani mattina potrei applicare.
Qual è il problema? Il turista, per venire a sciare, deve fare un viaggio, dormire in albergo, raggiungere l’impianto. Se metto assieme tutto il percorso è un po’ più complicato portarlo ad impatto zero.
Quindi come si fa? Compensando le emissioni, che comunque ci saranno, acquistando dei crediti green.
Se un mio cliente arriva da Londra con un volo aereo, per esempio, dovrò acquistare un numero di crediti sufficiente a compensare l’impatto del suo viaggio. Si potrebbero poi prendere questi crediti dagli enti locali, per esempio dai parchi naturali che abbiamo in Trentino.
Questa è la vera economica circolare: non far pesare il ripristino ambientale solo sull’ente pubblico, ma creare un circolo virtuoso per cui il cliente è disposto a pagare una parte dell’impatto che ha sull’ambiente, contribuendo alla sua tutela.
Qualità, integrazione, ambiente… ecco, questi sono i tre elementi della nostra nuova sfida.
Una sfida che non riguarda però solo gli impianti, ma tutte le destinazioni turistiche del futuro.

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